Prescelto?

ἀφωρισμένος
ἀφωρισμένος

Nel “Bestiario segreto delle idee paradossali” compilato in condivisione con alcune tra le menti eccellenti che mi circondano e alle quali io non appartengo per eccellenza, ma solo per senso dell’umorismo, ho trovato scritto:

“Occuparsi preferibilmente di ciò che si ignora e, soprattutto, scrivere attorno a temi sui quali si ha una preparazione assai lacunosa.”

È esattamente quello che vado a fare.

Ispirata dalle parole di un monaco camaldolese, che sostiene la possibilità di dedicarsi alla Lectio Divina, anche ritraducendo i testi sacri per conto proprio, e ascoltando ciò che il testo ci dice, mi accingo – a passi da lumaca, versetto per versetto – a cominciare a ritradurre per mio conto la Lettera ai Romani di Paolo di Tarso. Non è da ricercarsi altro senso in quest’operazione, oltre quello appena descritto. Si tratta del resto di un’operazione inutile per chicchessia, a causa dell’enorme quantitativo di traduzioni, esegesi, commenti teologici, filosofici, filologici, storici già esistenti, compilati da persone d’indiscussa autorevolezza e di preparazione e cultura ben più vaste della mia.

In margine, aggiungo che non inserirò la traslitterazione dei termini in greco antico, perché lo ritengo perfettamente inutile per tre ragioni: mi annoia, non ho scopi didattici, nella remota ipotesi che questa pagina interessasse a qualcuno, sicuramente questo qualcuno non avrà bisogno della traslitterazione.

Ciò premesso, procedo con testo in colonna parola per parola, come mi insegnò già in seconda media la Signorina Vittoria Abiuso – che Paola sicuramente ricorderà – professoressa di lettere della scomparsa “Scuola Media Massimo D’Azeglio”, e omettendo con lieve ed euforico passo danzante, le allora utilissime colonne dei vocaboli principali, dell’analisi grammaticale, dell’analisi logica, dei casi e delle reggenze. Mi concentrerò su una sola parola: “ἀφωρισμένος”.

Rm 1,1

ΠαῦλοςPaolo,
δοῦλοςservo
Χριστοῦdi Cristo
ἸησοῦGesù,
κλητὸςchiamato
ἀπόστολοςapostolo,
ἀφωρισμένοςprescelto
εἰςin vista del
εὐαγγέλιονlieto annuncio
θεοῦdi Dio

La parola “ἀφωρισμένος” è, grammaticalmente, il participio perfetto medio-passivo al nominativo maschile singolare del verbo “ἀφορίζω”, composto dal prefisso ἀπο – e dalla radice ὁρ di ὄρος = monte. Il Rocci, dopo il senso di base “distinguo con un limite”, offre due alternative, la prima mette in luce il fatto che porre un confine significa delimitare uno spazio e quindi: pongo, determino, stabilisco i limiti, i confini di; per esempio “stabilisco i limiti di una regione” e si comprende molto bene come una zona montuosa, nella geografia fisica, costituisca un confine naturale.
La seconda definizione invece mette in luce il fatto che il porre un confine separa una zona dall’altra e quindi: separo, distinguo, segrego. Il testo latino corrispondente è infatti qui “segregatus”. Per esempio: separo, come in Platone “separare la classe dei sacerdoti dalle altre” (Timeo).
In senso figurato il nostro “ἀφωρισμένος” suggerisce da solo che Paolo ha uno spazio d’azione ben delimitato, per agire nel quale è già stato preso fra altri, evidentemente da Dio, il tutto in direzione dell’annuncio del vangelo (εἰς εὐαγγέλιον)

Viene variamente tradotto dagli esperti: “separato” nel classico di Giuseppe Ricciotti sulle lettere di San Paolo (1949); “prescelto” nella versione della Conferenza Episcopale Italiana 1974; “scelto” nella versione della Conferenza Episcopale Italiana 2008. Molto più liberamente viene tradotto l’intero versetto nella traduzione interconfessionale: “Vi scrive Paolo, servo di Gesù Cristo. Dio mi ha scelto e mi ha fatto apostolo perché io porti il suo messaggio di salvezza”, con uno stile, che, a mio modesto avviso, sottrae al testo antico gran parte del suo tono solenne, rendendo il senso generale più comprensibile, ma l’espressione assai meno incisiva.

Si potrebbe dire che il compito al quale Paolo si sente consapevolmente chiamato determina e orienta in maniera assoluta la sua vita in direzione dell’annuncio del vangelo. Cosa effettivamente avvenuta.

Una vocazione consapevole e accettata, del resto, determina la persona in maniera univoca e allo stesso tempo la definisce, distinguendola da altri, che, allo stesso modo, hanno altri obiettivi.

Paolo attesta sin dall’inizio la propria posizione nella storia, concepita totalmente dipendente dalla volontà divina che lo ha plasmato missionario. Si tratta di un pensiero squisitamente cristiano, reso con un vocabolo praticamente intraducibile in lingua italiana.

Note grammaticali in relazione al testo

presenteἀφοριζόμενος
futuroἀφοριούμενος
futuro passivo aἀφορισθησόμενος
aoristoἀφορισάμενος
aoristo passivoἀφορισθείς
perfettoἀφωρισμένος
Tempi del participio per il verbo “ἀφορίζω”

Il participio greco è una forma nominale del verbo, condivide quindi la sua funzione sintattica con quella del nome (sostantivo e aggettivo e infatti si declina nel genere, nel numero e nel caso) e con quella del verbo (infatti ha diatesi, tempo e reggenza). Questa concisa e meravigliosa forma ubiquitaria, con la quale i Greci dicevano spesso gran parte di quello che intendevano dire, appartiene alla classe dei cosiddetti “aggettivi verbali”.
Il participio perfetto, in particolare, poteva esprimere un’azione compiuta rispetto a quella espressa dal verbo reggente o il risultato di un’azione passata.

Nel nostro caso il verbo reggente può considerarsi sottinteso: p.es., dopo la prima parola del testo “Paolo” (il soggetto della proposizione, che coincide con il mittente della lettera) potremmo immaginare il verbo “scrive a” o “si rivolge a”; i destinatari sono individuati al Dativo del versetto 7 “πᾶσιν τοῖς οὖσιν ἐν Ῥώμῃ” = “a tutti coloro che si trovano a Roma”. Rispetto al momento in cui Paolo scrive, l’azione richiamata dall’aggettivo verbale ἀφωρισμένος è già avvenuta e assume un tono particolarissimo: sembra di vedere quest’uomo che detta o scrive quella lettera, sentendosi investito di una responsabilità assoluta, come solo può derivare dal comando stringente di un dio al quale si vuole obbedire.