Incipit

Sconfitti, ingenui, intoccabili.

Come di frequente nella vita, si è aperto un altro capitolo.
Un lutto è un evento doloroso, ma Luca mi ha ricordato: “Le persone importanti per noi lasciano segni profondi: ispirati a questi segni e agisci.” Sorprendente saggezza.
Altri, che mi conoscono meno, in un imbarazzo mal celato, mi hanno detto: “Tanto, eravate separati da quattro anni!”. Sorprendente ingenuità.

Ho pensato di riprendere il filo della sostanza in una forma nuova.
Per ora, scrivo. Cominciando da un libro, tanto per cambiare. Lo vidi “per caso”, trent’anni fa, tra gli scaffali dell’allora Libreria Arion, sotto casa. Dopo una rapida occhiata lo comprai subito. Poi, lo prestai a Renato. Lo sottolineò in gran parte, senza curarsi che il libro non gli apparteneva. Dopo qualche giorno mi disse, dall’alto delle sue fragili certezze: “Questo è un buon libro!”.
Ora, mi sembra abbia senso condividerne qui un breve passo:

“Questo libro è stato realizzato durante gli anni della guerra, in mezzo al frastuono di un cataclisma mondiale. Eppure, giorno dopo giorno sedevo alla mia scrivania, in solitudine e in pace, e nulla disturbava la mia quiete, tranne le grida dei gabbiani e il rumore dell’Atlantico che si frange eternamente sulle rocce sotto la mia finestra. Sembrava incredibile che questi due aspetti della vita coesistessero fianco a fianco – la superficie così bella, e il lato sotterraneo così terribile. Ma non è forse questa un’immagine della vita stessa, e in particolare dell’uomo? La superficie, la facciata della civiltà appare così armoniosa e gradevole, ma sotto la maschera culturalizzata della coscienza quali impulsi selvaggi, quali mostri spaventosi aspettano nel profondo l’occasione per assumere il comando e saccheggiare il mondo!”

M. Esther Harding, L’energia psichica. La sua fonte e le sue trasformazioni, Astrolabio, Roma, 1984, p.11)

Queste parole furono scritte nel 1947 da una delle donne che hanno reso consistente il panorama dell’indagine sulla psiche, nell’ambito della psicologia analitica; mi sono tornate in mente qualche giorno fa, mentre ascoltavo dal TG le notizie sul conflitto armato tra Russia ed Ucraina.
Il libro della Harding è un’opera appassionata, brillante, che avviò in me un cambiamento radicale quando la lessi per la prima volta, nel 1993. Si trattava di una di quelle esperienze vive di lettura, che sembrano sfiorare la radice ultima della nostra relazione col mondo; una di quelle esperienze che capita raramente di fare attraverso la lettura di testi specialistici. La Harding rivelava nitidamente i modi e le qualità del tremendo equivoco che si annida sotto la soglia della coscienza umana.
E questo mi riguardava.
Era il mese di giugno e mi trovavo a Ronda, durante un giro di concerti in Spagna. Mi ero portata dietro quel libro e, nelle brevi pause di tempo libero, leggevo avidamente. Nel frattempo la tensione per il lavoro, la bellezza selvaggia dei luoghi, il fascino della Plaza de Toros, la passione per l’amore appena nato rendevano il mio corpo e la mia mente terreno adatto per una rivoluzione interiore inesorabile.
Processo lungo.
Si snoda nel tempo.
Non avrà mai un punto d’arrivo certo e definito.
È già un miracolo che abbia avuto inizio.

In ogni caso la prospettiva delineata dalla Harding è valida oggi come quando fu scritta, nel 1947.
Il messaggio dell’aggressore risuona sempre uguale: “La mia necessità è di somma importanza; ha una sanzione divina e devo soddisfarla a tutti i costi. La tua necessità, al confronto, non ha nessuna importanza”. E, dice la Harding, “rivela un atteggiamento non solo di egoistico cinismo, ma di incredibile ingenuità”.
Tutti ufficialmente condanniamo l’aggressione, ma in realtà l’umanità, nel suo insieme, non ha raggiunto un grado di sviluppo psicologico ed etico così solido da poter comprendere con chiarezza la forza primordiale e ciecamente istintiva, che spinge all’auto-conservazione a qualsiasi prezzo. Ci portiamo dietro questa specie di carica a orologeria quasi senza rendercene conto, e non sappiamo agire con l’intelligenza necessaria ad evitare disastri di ogni tipo.
L’ingenuità consiste in questo: l’istinto di auto-conservazione, senza opportuna riflessione, mediazione e integrazione, si rovescia inevitabilmente nel suo contrario; il suo esito ultimo è l’auto-distruzione, come nella storia di ogni dittatura.
Qui è la dittatura essenziale del prevaricatore sul suo oggetto: Caino su Abele. Agisce a livello individuale e gruppale.
Ci si chiede oggi come far cessare la guerra tra Russia e Ucraina, ma la conflittualità sale esponenzialmente, proprio nel momento in cui ci eravamo illusi che gli impulsi di prevaricazione, dominio e assoggettamento dell’altro fossero per l’Europa il ricordo di una follia lontana.
Non ci si è resi conto che la presa di coscienza della prevaricazione dev’essere individuale. Solo dopo, può riguardare i gruppi umani.
Così, anche, non ci si è resi conto che l’auto-affermazione ad oltranza di un’economia globalizzata, priva del senso del limite, non sostenuta da uno spazio etico ugualmente globalizzato, ma da sistemi di difesa territoriale di tipo militare, non avrebbe mai funzionato.
Gli Europei avevano la certezza che ciascun governo avrebbe giocato il proprio ruolo con ragionevolezza? E da dove mai avrebbero preso questa certezza?
E adesso?
Troppo tardi per capire che le armi e le guerre sono la strategia degli sconfitti, dei morti dentro?
Lo sconfitto è Caino, soggiogato da un limite arcaico del pensiero, incapace di una parola nuova: la peggiore delle sconfitte.
Non esistono Caino e Abele: Abele è morto ammazzato, il suo sangue è altrove. Esiste Caino: Caino, il vinto, sconfitto dal proprio istinto; Caino, l’ingenuo, che avanza verso la propria distruzione; Caino, l’intoccabile, che ha bisogno della creatività dell’uomo nuovo per salvarsi.
Dovremmo forse allenarci ogni giorno a guardare il mondo e noi stessi come fosse la prima volta.
E l’ultima.
Allora sì, che proveremmo l’urgenza di una parola nuova…